La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’intera colonna vertebrale e, talvolta, anche le articolazioni periferiche ed i tendini. Più raro l’impiego extra-articolare (prevalentemente oculare).
L’infiammazione delle vertebre (spondilite) di cui è composta la colonna vertebrale, comporta dolore e limitazione funzionale, che tipicamente peggiora a riposo e migliora durante l’esercizio fisico (non è il classico mal di schiena!). Se la malattia non viene trattata adeguatamente, tendono a formarsi nel corso degli anni dei veri e propri ponti ossei che limitano irreversibilmente il movimento articolare (anchilosante). In questa fase le vertebre sono saldata l’una all’altra e la colonna vertebrale assume la conformazione di una “ canna di bamboo” La spondilite anchilosante tende ad esordire in giovane età (20-30anni), colpisce soprattutto i soggetti di sesso maschile e tende ad avere una evoluzione molto lenta. Non è una patologia frequente ma nemmeno rara ( ne è affetta meno dell’1% della popolazione). La causa non è nota, come per tute le patologie reumatiche , anche se si ipotizza che sia necessario sia il contributo di fattori genetici (HLA-B27 ed altri) che di quelli ambientali (infezioni comuni). Nonostante un soggetto con un parente affetto da spondilite anchilosante abbia una maggior probabilità di sviluppare la malattia, il rischio rimane relativamente basso (non è una malattia ereditaria!).
Sintomatologia Articolare
Nella Spondilite Anchilosante, come sopra esposto, si assiste all’infiammazione delle vertebre, comportando una sintomatologia dolorosa invalidante, soprattutto a riposo. Nonostante il dolore avvertito all’ultima parte della schiena (lombalgia) rappresenti un’esperienza assolutamente comune, la sintomatologia del paziente affetto da spondilite anchilosante è assolutamente peculiare. Infatti tutti i pazienti affetti dalla patologia riferiscono un mal di schiena che è esordito prima di 45 anni di età e che dura da almeno 3 mesi, che decorso ingravescente e senza che vi sia una risoluzione spontanea del dolore (in assenza di terapia farmacologica il dolore è presente tutti i giorni).
La lombalgia è spesso il primo sintomo del paziente affetto da spondilite anchilosante. Nelle fasi più avanzate il processo infiammatorio può risalire lungo la colonna vertebrale ed interessare anche la regione dorsale e cervicale, con tendenza nelle fasi più avanzate alla anchilosi vertebrale, ossia la formazione di ponti ossei che saldano i due capi articolari. In questo caso si assiste ad una compromissione della normale curvatura della colonna vertebrale con tendenza alla gibbosità. Questa conformazione, frequentemente osservata negli anziani deve immediatamente portare il medico al sospetto diagnostico di spondilite anchilosante qualora dovesse essere riscontrata in giovane età.
E’ chiaro che in tali condizioni il paziente può avere difficoltà nello svolgimento di molteplici attività della vita quotidiana, come guidare l’autovettura o restare seduto a lungo. Oltre alla lombalgia, il paziente affetto da spondilite anchilosante frequentemente presenta una sintomatologia simile alla sciatalgia, ossia dolore, formicolio e talvolta sensazione di bruciore a carico delle natiche e della superficie posteriore delle cosce. A differenza della classica sciatalgia in questo caso il dolore si ferma al ginocchio, senza interessare in modo alternate le due cosce (sciatica mozza alternante). Questa sintomatologia, del tutto peculiare, riflette l’infiammazione di una particolare articolazione con la quale il bacino si articola con la colonna vertebrale (articolazione sacro-illica) dopo anni di patologia non adeguatamente trattata, tendono a subire l’anchilosi. In questo caso non si osservano particolari alterazioni conformazionali (come nel caso della colonna vertebrale), tuttavia la perdita di tale articolazione può rendere difficoltoso l’espletamento di una parto naturale (in questo caso è meglio optare per il taglio cesareo).
Meno frequentemente il bacino può essere sede di un processo infiammatorio in altre sedi, quali sinfisi pubica (anteriormente) e le creste iliache (lateralmente). In questo caso la sintomatologia dolorosa sarà localizzata, senza particolari irradiazioni.
Quasi la metà dei pazienti affetti da spondilite anchilosante presenta anche un impegno delle articolazioni periferiche. In particolare possono essere coinvolte le articolazioni degli arti inferiori, come anche, ginocchia e caviglie; più raramente quelle degli arti superiori (in particolare gomiti e polsi). In questo caso le articolazioni sono dolenti, calde, tumefatte; frequentemente si assiste ad una significativa impotenza funzionale. A differenza di quanto osservato in altre patologie come l’artrite reumatoide, qui l’impegno articolare è tipicamente asimmetrico (lato destro presenta un interessamento articolare diverso da quello sinistro) e risparmia solitamente le piccole articolazioni di mani e piedi.
I piedi possono essere coinvolti con un dolore a carico del calcagno e/o della regione plantare; non si tratta di un processo articolare ma tendineo (tendine d’Achille, fascia plantare).
Più raramente possono essere interessati altri tendini, nella loro inserzione all’osso, come quelli del gomito (epicondilite) o del ginocchio (entesite quadrici pitale, rotulea).
Sintomatologia extra-articolare
La spondilite anchilosante è dunque una patologia prevalentemente articolare e tendinea. Tuttavia in alcuni casi può interessare anche altri organi.
L’impegno oculare si osserva in circa il 25% dei pazienti affetti da spondilite anchilosante. In questo caso si assiste ad una infiammazione della porzione più anteriore dell’occhio, con dolore, arrossamento oculare e ipersensibilità alla luce (uveite anteriore). Entrambi gli occhi possono essere coinvolti ma mai contemporaneamente. Un adeguato e tempestivo trattamento permette la guarigione senza particolari sequele.
In casi rari, il processo infiammatorio della spondilite anchilosante può danneggiare la valvola aortica cardiaca, comportando un difetto durante la fase di chiusura (insufficienza aorta). Molto raramente tale interessamento assume una rilevanza clinica. Altrettanto rari i casi di interessamento con il ritmo cardiaco.
Nelle fasi più avanzate di una patologia non adeguatamente tratta si può assistere ad una ridotta resistenza fisica anche per sforzi non eccessivi. In questo caso l’affanno potrebbe essere giustificato da un impegno delle articolazioni della gabbia toracica e dei muscoli intercostali (talvolta con dolore localizzato) o, più raramente, da una cicatrizzazione polmonare (fibrosi polmonare.
Diagnosi e Follow-Up
La diagnosi di spondilite anchilosante viene generalmente effettuata sulla base del quadro clinico (visita medica specialistica), degli esami di laboratorio e degli esami strumentali. Il reumatologo ha il compito di identificare, con la visita , i pazienti con elevata probabilità di essere affetti dalla patologia, e che richiedere gli esami di laboratorio e strumentali utili per confermare la diagnosi. Non ha senso richiedere tali esami prima che il paziente sia stato accuratamente valutato.
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, questi sono utili sia per verificare la presenza di infiammazione sistemica (alcuni indici come VES e PRC possono risultare alterati), sia per escludere altre patologie (la spondilite anchilosante viene definita “sieronegativa”, in quanto i comuni esami immunologici risultano solitamente nella norma) e sia per definire l’idoneità del paziente a taluni trattamenti fisiologici.
Gli esami strumentali sono di grande ausilio sia per la diagnosi che per il monitoraggio della patologia nel corso degli anni. Storicamente si richiedeva la radiografia (Rx) del bacino e della schiena; oggi, accanto a questa insostituibile metodica, risulta molto utile, in taluni pazienti, la risonanza magnetica nucleare (RM). Questa indagine permette di effettuare la diagnosi di malattia un una fase molto precoce (“spondilite non-radiografica”), quando lo studio radiografico standard non evidenzia ancora segni caratteristici della spondilite anchilosante.
Altre metodiche, come la TAC o la scintigrafia ossea, sono riservate solo a casi eccezionali. L’ecografia viene oggi molto utilizzata per lo studio delle articolazioni e dei tendini periferici, fornendo utili informazioni strutturali e funzionali (permette di stimare l’entità infiammatoria). Viceversa l’ecografia non può essere applicata allo studio delle articolazioni della schiena e del bacino.
Trattamento
Ad oggi non esiste una terapia per curare definitivamente la spondilite anchilosante. Tuttavia vi sono ottimi farmaci in grado di arrestare la patologia e controllare i sintomi.
Gli obiettivi prioritari nella gestione terapeutica della malattia sono l’attenuazione del dolore e della rigidità, al fine di ripristinare e mantenere una corretta postura e un’adeguata mobilità articolare.
La terapia farmacologica è fondamentale, poiché spegnere l’infiammazione permette di ridurre il dolore e la rigidità; in tal modo il paziente può adottare posture corrette ed effettuare quotidianamente esercizi di stiramento e di rinforzo muscolare. La terapia farmacologica si avvale dell’ausilio dei FANS (anti-infiammatori non steroidei) e, sempre più, di farmaci biotecnologici, attivi contro una particolare molecola TNF, IL17). Nel caso di un interessamento delle articolazioni periferiche o tendineo è indicato l’impiego di cortisonici a basso dosaggio per via sistemica o mediante infiltrazioni e l’utilizzo di farmaci anti-reumatici tradizionali (metotrexate, sulfasalazina, leflunomide). Questi farmaci sono utilizzati anche per il trattamento dell’artrite reumatoide e psoriasica (vedi i rispettivi capitolo per una trattazione farmacologica completa).
Inoltre, altre abitudini di vita possono influenzare positivamente lo stato di salute, come una dieta equilibrata, un sonno ristoratore ed il supporto psicologico da parte della famiglia e degli amici.
Attività fisica
L’attività fisica mirata è parte integrante nella gestione di ogni programma terapeutico nella spondilite anchilosante. Se svolto quotidianamente aiuta a mantenere una postura corretta, contribuisce a migliorare l’escursione articolare e svolge un’azione antalgica.
E’ tuttavia importante farsi guidare, soprattutto all’inizio, dal fisiatra e fisioterapista al fine di ottenere il massimo beneficio. Si descrivono di seguito alcuni esempi.
Riscaldamento
Marciare velocemente sul posto per un minuto staccando il più possibile i piedi dal suolo e contemporaneamente portare in alto le braccia estese per 20 secondi, poi in avanti per latri 20 secondi ed infine di lato per ulteriori 20 secondi.
Esercizi di stretching
Malattie reumatiche - Dr. Matteo Filippini
U.O. Reumatologia Immunologica Clinica ASST Spedali Civili di Brescia