L'ESITO GESTAZIONALE NEL LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO
Come è noto il Lupus Sistemico è malattia che colpisce soprattutto soggetti di sesso femminile (rapporto femmine / maschi 9/1) ed insorge prevalentemente in una fascia di età compresa tra i 15 e i 55 anni (1). D'altra parte, il lupus è una malattia cronica che oggi fortunatamente, grazie ai progressi raggiunti nella gestione clinico-terapeutica, vanta percentuali di sopravvivenza discretamente elevata (95% a dieci anni, 2). Pertanto è comprensibile che il problema della gravidanza ricorra frequentemente nel quotidiano dei medici che in specifico si occupano della gestione di pazienti affetti da tale forma. Le prime osservazioni di significative complicanze materne in gravidanza e di esito gestazionale seriamente compromesso, avevano portato, in un passato non poi così lontano, a sconsigliare categoricamente le pazienti ad intraprendere una gravidanza o, al limite, qualora questa fosse già in corso, a consigliare un aborto definito come "terapeutico" (2).
Tuttavia, probabilmente proprio la frequenza con cui ci si doveva confrontare con questa situazione, ha portato, attraverso analisi ripetute, a modificare radicalmente l'atteggiamento e a focalizzare gli elementi, tra i tanti che caratterizzano la malattia, che potessero condizionare da un lato la salute materna, dall'altro la progressione e lo sviluppo della gravidanza stessa.
Scopo di questa breve rassegna è la valutazione dell'influenza della malattia lupica sull'esito della gravidanza e la focalizzazione dei meccanismi patogenetici vero similmente implicati nel verificarsi delle complicanze. La utilità di una analisi di questo genere è legata da un lato alla possibilità di chiarire alle pazienti gli eventuali problemi che la malattia potrebbe causare al normale sviluppo della gravidanza, e, dall'altro, a modulare il trattamento e il monitoraggio applicato al singolo caso in relazione ai "fattori di rischio" per la gravidanza di cui la paziente risulta portatrice.
Esito della gravidanza nelle pazienti con lupus
Nell'ambito del lupus sistemico, esiste un accordo di fondo nel ritenere che in generale l'outcome fetale sia influenzato dalla malattia. In effetti la frequenza delle perdite fetali riportate da vari Autori nelle pazienti lupiche varia dall'11 al 24%, risultando pertanto comunque più alta di quella della popolazione sana (3). Oltre alle perdite fetali, che includono gli aborti spontanei (prima della 10^ settimana di gestazione) e le morti endouterine del feto (dopo la 10^ settimana di gestazione), sono segnalate, nelle gravidanze da pazienti con lupus, altre patologie che fortunatamente non esitano necessariamente nella perdita del feto, anche se talvolta possono esserne la causa. In primo luogo le nascite pretermine che vengono segnalate con una significativa frequenza (24-59%) (4). Si considerano pretermine i parti avvenuti prima della 37^ settimana di gestazione. Tuttavia, oggi, grazie allo sviluppo della terapia intensiva neonatale, si può considerare che parti avvenuti dopo la 34^ settimane di gestazione abbiano una prognosi discreta, pertanto si tende a considerare come prematurità severa soltanto quella di neonati nati prima della 34^ settimana di gestazione. Oltre alla prematurità, taluni Autori riportano come estremamente frequente nelle gravidanze di pazienti con lupus sistemico, anche il ritardo di crescita intrauterino (IUGR)(5). Si tratta di una complicanza relativamente rara nelle donne sane (3%-7%), la cui causa viene fatta risalire ad una insufficienza utero-placentare (6). Infine, nell'ambito delle complicanze legate al lupus è stato per molto tempo considerato anche il lupus neonatale, una rara evenienza che si verifica nei neonati da madre portatrice di anticorpi anti Ro/SS-A, indipendentemente dal fatto che questa sia o meno affetta da lupus. Fortunatamente comunque, i dati recenti sull'esito gestazionale delle pazienti con lupus sistemico testimoniano che gli eventi infausti si verificano oggi solo in una percentuale molto ridotta di casi (Figura 1), verosimilmente per l'attenzione con cui queste gravidanze vengono seguite e monitorate in un sistematico approccio multidisciplinare che impiega a tempo pieno una equipe composta non solo da reumatologi o immunologi, ma anche da ostetrici e neonatologi.
Fattori che condizionano l'esito gestazionale nel lupus
Naturalmente la migliore gestione specialistica è contemporaneamente causa ed effetto della individuazione delle problematiche legate alla patogenesi dell'esito sfavorevole della gravidanza nelle pazienti con lupus.
Uno dei fattori che apparentemente influenzano l'esito gestazionale nel lupus è la attività della malattia. In effetti è noto il numero elevato di perdite fetali che viene osservato quando la malattia esordisce in concomitanza con la gravidanza (7). Tuttavia, non risulta del tutto chiaro se il danno sia causato dalla malattia in fase di attività o da taluni fattori ad essa associati. Per esempio le pazienti con malattia in fase attiva necessitano di una dose di corticosteroidi maggiore. In effetti è noto come i corticosteroidi, soprattutto ad alte dosi, possano favorire parti pretermine, attraverso una precoce rottura delle membrane, o anche è noto come possano facilitare talune complicanze materne, come la preeclampsia, che rendono necessaria la interruzione della gestazione. In ogni caso, la prognosi fetale appare particolarmente compromessa nei casi di lupus con glomerulonefrite attiva specie se la funzione renale risulta ridotta (creatinina sierica >1.6) (3). E' quindi consigliabile, per il miglioramento della prognosi fetale, che le pazienti siano indirizzate ad intraprendere la gravidanza quando la malattia è in stato di buon controllo.
Come è noto, il lupus sistemico è una malattia immunomediata, caratterizzata dalla presenza di numerosi autoanticorpi, che sono in larga misura responsabili dei processi patologici della malattia. Tra questi autoanticorpi gli anticorpi antifosfolipidi presenti in una percentuale di pazienti con lupus compresa tra il 20 e l'80%, sono stati descritti come i predittori più significativi dell'esito infausto della gravidanza(8). E' significativo che questo dato, inizialmente rilevato dalla osservazione di casistiche di pazienti con lupus, sia stato ampiamente confermato dalla osservazione di modelli animali ottenuti sia in topi lupus prone che in animali sani (9). In effetti, gli anticorpi antifosfolipidi sono responsabili di uno stato trombofilico basale, che può complicare la prognosi materna ma soprattutto sono apparentemente responsabili di un danno diretto sull'impianto e lo sviluppo del trofoblasto che può portare ad un alterato sviluppo della placenta con le prevedibili conseguenze sulla crescita del feto (10-11). Negli ultimi 15 anni, come è noto, è stata descritta, nel lupus e al di fuori del lupus, la sindrome da antifosfolipidi, caratterizzata dalla associazione di trombosi (arteriose o venose) o aborti ripetuti ed anticorpi antifosfolipidi. Tra le più fortunate conseguenze dell'approfondimento delle conoscenze di questa situazione, c'è la focalizzazione di una politica di monitoraggio e trattamento di pazienti gravide affette da questa sindrome, nell'ambito del lupus o senza altra patologia associata (primarie), con radicale miglioramento della prognosi ostetrica.
Un analogo discorso, anche se con conseguenze completamente diverse è quello legato alla presenza nella paziente con lupus degli anticorpi anti Ro/SS-A. Anche in questo caso si tratta di autoanticorpi presenti in una elevata percentuale di pazienti con questa patologia (30-50%, 12), il cui passaggio transplacentare è legato al manifestarsi di complicanze per il feto ed il neonato. In effetti basandosi su dati di patologia umana e su modelli animali è stata chiarita la responsabilità di questi anticorpi nel causare la sindrome del lupus neonatale, caratterizzata dal verificarsi di manifestazioni transitorie quali rush cutaneo fotosensibile, epatopatia colestatica, citopenie e della temuta manifestazione permanente del blocco cardiaco congenito (13). Il blocco cardiaco congenito, la cui diagnosi può essere fatta in utero, tramite ecocardiografia fetale a circa 18 settimane di gestazione, si manifesta comunque in solo in una piccola percentuale di figli di pazienti con anticorpi anti Ro/SS-A (14), facendo ipotizzare che, unitamente agli anticorpi, entrino in giuoco altri fattori patogenetici a oggi non completamente chiariti (15-16).
Il miglioramento dell'esito gestazionale nel lupus
Come si è detto, oggi la prognosi ostetrica delle pazienti con lupus è decisamente migliorata. In effetti è diventata pratica corrente continuare in gravidanza un trattamento, che pur effettuato con farmaci non dannosi per il feto, garantisca il controllo della malattia. Tuttavia, è indubitabile che una larga parte dei successi ottenuti in questo settore dipendano dalla creazione di gruppi di lavoro interdisciplinari dedicati. In effetti, in svariate occasioni è solo la sorveglianza e l'intervento dell'ostetrico che possono mettere termine ad una gestazione quando il feto risulti sofferente. E, d'altra parte, la terapia intensiva neonatale riesce a superare nella larga maggioranza dei casi i problemi, non indifferenti, legati alla prematurità.
I figli di donne affette da LES: studio di una casistica
Introduzione:
Per molto tempo è stato sconsigliato a donne affette da LES di intraprendere una gravidanza, considerata a rischio sia per la madre che per il feto. E' possibile infatti che durante o dopo la gestazione si verifichi una riesacerbazione della malattia e che il prodotto del concepimento vada incontro a complicanze ostetriche (perdita fetale, prematurità, ritardo di crescita endouterino, mortalità perinatale e lupus neonatale). Tuttavia negli ultimi anni i progressi ottenuti nel campo dell'immunologia, dell'assistenza a gravidanze a rischio e dell'assistenza neonatale, hanno fatto sì che venissero intraprese e portate a termine con successo un numero sempre maggiore di gravidanze in donne affette da LES. A metà degli anni '80 alcuni ricercatori hanno ipotizzato che nel caso di donne con patologia autoimmune, gli autoanticorpi materni potessero influire sullo sviluppo cerebrale del feto. Inoltre tre studi americani condotti su bambini in età scolare nati da donne con LES hanno evidenziato una maggiore incidenza in questi bambini di disturbi dell'apprendimento (in particolare di dislessia), iperattività e problemi di attenzione, rispetto alla popolazione generale. Non esistono in letteratura studi effettuati su una popolazione italiana, né studi che valutino eventuali effetti dell'immunoreattività materna sullo sviluppo dei figli in epoche precoci.
Il presente lavoro si è quindi mosso in questo senso.
Materiali e metodi:
Delle 50 famiglie da noi contattate per questo studio, 41 (di cui 4 con 2 figli e 1 con 3 figli ciascuna) hanno aderito al progetto. Ci ha fatto molto piacere questa adesione elevata anche perché chi non è venuto proveniva da zone di abitazione lontane da Brescia, testimoniando così non solo l'interesse verso i propri figli ma anche la fiducia e l'affetto verso il Centro. La casistica è quindi di 47 bambini (23 maschi e 24 femmine), con un'età compresa tra i 7 mesi e i 18 anni e così distribuiti nelle diverse fasce d'età: 16 bambini hanno un'età compresa tra gli 0 e i 3 anni, 12 tra i 3 e i 6, 14 frequentano la scuola elementare (6-11 anni), 2 la scuola media (11-14 anni) e 3 la scuola superiore. Il problema era quello di verificare lo stato di salute dei bambini ed in particolare le loro capacità di apprendere, come espressione di uno sviluppo buono del loro Sistema Nervoso. A tutti i bambini fino ai 4 anni di età è stato somministrato un test che valuta lo sviluppo mentale globale raggiunto (Test di Griffith).
Ai bambini di età compresa tra i 4 e i 6 anni è stato somministrato un test di intelligenza adeguato all'età (WIPPSI); a questi ultimi bambini, inoltre, sono state somministrate prove "metafonologiche" per valutare il futuro apprendimento di lettura, scrittura e calcolo di questi bambini. I soggetti in età scolare sono stati valutati con il test di intelligenza WISC-R e con prove atte ad appurare l'eventuale presenza di disturbi dell'apprendimento quali quelli segnalati in letteratura. Infine è stato fatto un colloquio con i genitori dei bambini sottoposti ai test, alfine di reperire ulteriori informazioni sulla vita familiare e quotidiana di questi bambini.
Risultati:
Il quoziente di sviluppo (per i più piccoli) o il quoziente intellettivo (per i più grandi) è risultato nella normalità per tutti i 47 bambini, variando da un valore minimo di 90 ad uno massimo di 128,8. Le prove metafonologiche somministrate ai bambini del 2° e 3° anno di scuola materna hanno messo in luce in 5 bambini abilità metafonologiche adeguate all'apprendimento della lingua scritta, dato che ci permette di escludere l'insorgenza futura di disturbi dell'apprendimento. Per 3 bambini, invece, non è stato possibile avere dati così chiari e andranno quindi rivisti in prima elementare per valutare il loro approccio a lettura e scrittura. Anche per quanto riguarda i bambini in età scolare il QI è risultato in tutti i casi nella norma, con un QI medio di 107,21. In due casi si sono evidenziati problemi di lettura, di scrittura, e di lettura e scrittura di numeri associata a difficoltà nel calcolo matematico.
Discussione:
L'analisi dei dati raccolti nella nostra casistica ha evidenziato uno sviluppo nella norma per tutti i bambini segno che la malattia materna e i farmaci non sembra influenzino in modo negativo lo sviluppo dei bambini. Anche i due casi su 47 (4%) in cui si è diagnosticato un disturbo di apprendimento, questo sembra far pensare più ad una predisposizione familiare (sono due fratelli) che non ad una conseguenza diretta della malattia materna, in considerazione anche del fatto che la familiarità può essere coinvolta nello sviluppo dei disturbi dell'apprendimento. Tuttavia tale dato andrebbe confermato da un campione più vasto.
Dunque la nostra casistica suggerisce che il rischio di un danno di sviluppo per i bambini non è confermato, anzi analizzando in dettaglio i test effettuati si nota come la crescita e il grado di sviluppo di questi bambini sia al di sopra di quello della popolazione generale di età analoga. I bambini più piccoli, ad esempio riescono molto bene nelle prove che evidenziano la loro indipendenza e la capacità di rapportarsi con gli altri, nei test che valutano l'attitudine ad ascoltare e lo sviluppo del linguaggio e nelle prove di ragionamento pratico. Appare evidente, quindi, come questi bambini abbiano acquisito notevoli abilità proprio nelle competenze il cui sviluppo risente maggiormente dell' ambiente familiare che li circonda e del modo in cui sono cresciuti. Dai colloqui effettuati con i genitori è infatti emerso in generale un ambiente familiare peculiare, stimolante e con un alto grado di investimento sulla crescita dei figli.
Tuttavia dai colloqui condotti risulta evidente come la convivenza con una malattia cronica quale è il LES risulti spesso difficoltosa e crei ansie non solo a chi ne è affetto ma a tutto il nucleo familiare. Questo dato è risultato evidente nel 60% circa delle madri intervistate, che affermano di aver incontrato difficoltà nell'allevamento dei figli, difficoltà riconducibili al fatto di dover convivere con una malattia come il LES che ha conseguenze sia sul piano fisico che psichico. Il 24% delle mamme ha inoltre espresso di aver avvertito il bisogno di un supporto psicologico in particolari momenti della loro storia.,tra cui in particolare nascita e allevamento dei figli. Questo ci ha fatto pensare alla possibilità di offrire a richiesta colloqui di supporto che accompagnino il momento della diagnosi, o la gravidanza o particolari momenti della crescita dei bambini, ci sembra infatti che un accompagnamento di questo genere potrebbe aiutare a ridurre ansie che potrebbero ripercuotersi sui bambini,facendoli sentire insicuri o eccessivamente responsabili. Tutti i genitori da noi ascoltati hanno inoltre confermato un giudizio positivo dello staff di Medici che li seguono affermando di trovarli disponibili e facilmente contattabili nel momento del bisogno e sottolineando, come capita nelle malattie croniche, come sia terapeutico un intervento che insieme sia professionalmente all'avanguardia ma tenga conto delle esigenze delle persone e della loro vita di affetti e relazioni.
SCLERODERMIA
Che cosa è la Sclerodermia?:
La Sclerodermia è una rara malattia cronica del tessuto connettivo caratterizzata da fibrosi della cute, dei vasi sanguigni e di organi e sistemi quali cuore, polmoni, reni, apparato gastroenterico, articolazioni e muscoli. Malgrado ciò, la maggior parte delle persone affette da questa malattia può condurre normalmente una vita piena e produttiva.
La malattia colpisce 4 volte di più le femmine rispetto ai maschi, nell' età compresa tra i 25 e i 50 anni, anche se qualunque età può comunque essere interessata.
Quanti tipi di Sclerodermia esistono?:
Esistono diversi tipi di sclerodermia. In primo luogo la sclerodermia può essere differenziata in:
A sua volta la Sclerosi Sistemica viene classificata, sulla base dell'estensione del coinvolgimento cutaneo, in:
In entrambi i casi possono essere colpiti gli organi interni.
La Sclerosi Sistemica non deve essere confusa con la Sclerosi Multipla, una malattia del sistema nervoso, completamente diversa.
Quali sono le cause della Sclerodermia?:
Le cause della Sclerodermia sono ancora sconosciute. Si tratta comunque di una malattia non contagiosa, per cui una persona non può riceverla da un altra e non può a sua volta trasmetterla. Inoltre non è una vera e propria malattia ereditaria e quindi solo eccezionalmente viene trasmessa da una generazione all'altra. Sappiamo che le cellule dei tessuti delle persone affette dalla Sclerodermia producono una quantità superiore alla norma di collagene, una proteina che ha la funzione di legare tra loro le cellule. A causa dell'eccessiva formazione di questa proteina, la cute ed a volte alcuni organi diventano rigidi e incapaci di funzionare correttamente. Nella Sclerosi Sistemica è inoltre coinvolto il sistema immune, che è la nostra naturale difesa contro le malattie. Normalmente agisce come sistema di protezione, che elimina i germi. Sfortunatamente, in alcune condizioni come la Sclerosi Sistemica, può essere difettoso e attaccare il nostro organismo.
Come esordisce la Sclerodermia?:
Come si sviluppa la Sclerodermia?:
La maggior parte delle persone affette dalla malattia presenta un ispessimento e un indurimento della pelle. In seguito all'irrigidimento della cute e dei tendini le articolazioni possono assumere una posizione contratta. Le articolazioni possono, inoltre, infiammarsi e apparire tumefatte, calde e provocare dolore. Poiché i vasi si restringono e si riduce il flusso di sangue, a livello delle dita talora si possono formare ulcere dolenti. Alcune persone possono presentare sulla cute piccoli depositi di calcio, che possono rompersi e da cui, in tal caso, fuoriesce materiale biancastro. La malattia può colpire inoltre gli organi interni ed, in particolar modo, l'apparato digerente, i polmoni, il cuore e i reni. Se, ad esempio, l'esofago viene colpito dalla malattia diventa rigido e spinge con meno forza il cibo nello stomaco. Il paziente avverte, per tale motivo, una difficoltà alla deglutizione del cibo o delle bevande. Talora viene avvertito un bruciore retrosternale, causato da un passaggio di acido dallo stomaco verso l'esofago. Non solo il primo tratto dell'apparato digerente può ammalarsi, bensì anche l'intestino, che può perdere la sua fisiologica motilità, causando stipsi o diarrea. La maggior parte dei pazienti affetti dalla forma limitata di Sclerosi Sistemica può anche non peggiorare. Se, tuttavia, si verifica un peggioramento, quest'ultimo avviene molto lentamente. Talvolta, invece, si può avere addirittura un miglioramento del quadro.
Come si possono aiutare le persone affette da Sclerodermia?:
Fino ad oggi non abbiamo ancora a disposizione un farmaco miracoloso, che possa guarire la Sclerosi Sistemica, ma esistono comunque numerose possibilità per migliorare la situazione, inclusi i supporti sociali e psicologici. Il trattamento fisico prevede esercizi, che sono in grado di rendere la cute più flessibile, di migliorare il flusso di sangue alle estremità e di mantenere mobili le articolazioni.
Aspetti sociali e psicologici della Sclerodermia:
Non meno importanti sono gli aspetti psicologici e sociali della malattia. Questi coinvolgono il team che si prende cura del paziente. Ci sono molti possibili aiuti per fronteggiare i problemi che i pazienti, a causa della loro disabilità, vivono nella vita quotidiana. Numerosi strumenti e presidii, talora sconosciuti ai pazienti, possono essere utilizzati come valido ausilio pratico.
Un problema spesso sottovalutato è l'impatto emotivo di avere una malattia come la Sclerodermia. E' difficile sottolineare abbastanza quanto sia importante trattare questa componente della malattia. E' noto come lo stress emotivo possa influenzare in maniera negativa la circolazione sanguigna. Per questo aspetto può giungere un aiuto dagli operatori sanitari (farmaci, counselling ed altre terapie psicologiche). Affrontare positivamente la malattia significa già essere a metà strada per sconfiggerla. Spesso un colloquio aperto può essere di aiuto per i familiari e gli amici a comprendere i problemi fisici e psicologici vissuti dal paziente. Spesso tutto ciò permette loro di aiutare meglio il paziente stesso.
La malattia può modificare l'aspetto fisico del paziente, ma non può cambiare quello che egli è davvero.
La cute nella Sclerodermia:
Tutti i pazienti con Sclerodermia sviluppano cambiamenti cutanei, la cui gravità varia però da soggetto a soggetto.
Tali modificazioni includono:
Ispessimento cutaneo:
L'ispessimento della cute è un problema fondamentale nella Sclerodermia. Esistono già numerosi farmaci, che devono essere assunti sotto il controllo di un medico specialista, che possono essere utili per questo disturbo e altre nuove medicine sono in via di sviluppo. Oltre alla terapia farmacologica, la fisioterapia e gli esercizi sono di fondamentale importanza per il mantenimento dei movimenti della cute intorno alle articolazioni. Bagni di paraffina calda possono essere utili per migliorare la rigidità cutanea, il dolore delle mani e per facilitare gli esercizi.
Ulcerazioni:
Non è rara la formazioni di ulcere cutanee, soprattutto, ma non solo, alle dita delle mani e dei piedi.
Nel caso in cui si verifichino a livello delle gambe, spesso in seguito ad un trauma, rimarginano più lentamente che in una persona sana. Vanno regolarmente medicate per prevenire l'infezione della ferita. Si crede che ci sia un livello ottimale di umidità per favorirne la guarigione. Una ferita non dovrebbe essere né troppo secca, né eccessivamente umida. Sono disponibili differenti medicazioni per ottenere un corretto livello di umidità. Per le ulcere delle dita delle mani e dei piedi tutto ciò di cui si necessita per la guarigione è spesso un disinfettante secco. La cicatrizzazione può essere promossa migliorando la circolazione sanguigna tramite farmaci, come i vasodilatatori, che possono essere somministrati per via orale (nifedipina) o per via endovenosa (iloprost). La forma per via endovenosa è efficace sulle ulcere di difficile guarigione a livello di mani e piedi, ma è disponibile soltanto in alcuni reparti ospedalieri specializzati. Talvolta le ulcere possono sovrainfettarsi e richiedere, perciò, il ricorso alla terapia antibiotica. I segni di infezione della ferita sono rappresentati dall'incremento del dolore, rossore, dalla suppurazione e da un odore sgradevole. L' eliminazione dell'infezione permette di accelerare la guarigione dell'ulcera. Intorno all'ulcera stessa si può formare un eczema (pelle infiammata), che può richiedere un breve ciclo di cura con pomata cortisonica.
Secchezza, eczema ed irritazione:
In termini generali la secchezza cutanea è indice di cute non sana. L'applicazione giornaliera di creme o unguenti può risolvere il problema. Tra i due prodotti i più efficaci sono gli unguenti, che formano una barriera sulla cute e aiutano a mantenere la sua naturale umidità, anche se risultano meno gradevoli da applicare in quanto più unti. Emollienti da bagno possono essere veramente utili nel mantenere la pelle umida, ma sono da usare con molta attenzione in quanto possono rendere la vasca da bagno scivolosa. E' buona pratica applicarli una volta che la pelle si disidrata dopo il bagno. Il prurito è un altro problema comune dei pazienti affetti da Sclerosi Sistemica. Anche se la cute viene regolarmente idratata non si riduce il prurito, per cui sono necessarie altre misure. Sono in commercio numerose creme, che contengono ingredienti specifici per il prurito. In aggiunta il medico può consigliare antistaminici per via orale. Alcuni antistaminici possono causare sonnolenza, motivo per cui il paziente deve evitare di guidare per una riduzione della soglia di attenzione.
Teleangectasie:
Queste dilatazioni dei vasi sanguigni, visibili come piccoli puntini rossi, si possono formare a livello della faccia e delle mani. Per tale problema, in alcuni centri di dermatologia, è disponibile la laser-terapia, una tecnica che si può rivelare utile anche se invasiva. Una valida alternativa può essere rappresentata dall'applicazione nella sede interessata di cosmetici.
Depositi di calcio:
Se i depositi di calcio si formano in una sede in cui non creano disagio possono essere lasciati stare. Tuttavia, se invece creano problemi, si ulcerano o si infettano possono essere allora rimossi chirurgicamente, anche se però non ci sono garanzie che non si riformino nel tempo. Occasionalmente questi depositi possono, spontaneamente o con l'aiuto di bagni caldi di paraffina, scomparire dalla cute. In conclusione i problemi della pelle sono comuni nella Sclerodermia, ma , fortunatamente, esistono semplici soluzioni pratiche per molti di questi.
I polmoni e il cuore nella Sclerodermia:
La Sclerodermia può interessare molti organi. I cambiamenti nella pelle o nei vasi sanguigni che forniscono il sangue alle dita delle mani e dei piedi sono quelli che in genere conducono il paziente dal medico. Una valutazione completa in quel momento può mostrare modificazioni di alcuni organi, ancora prima che queste ultime si manifestino con dei sintomi. Il polmone è coinvolto veramente con frequenza elevata, ma spesso solo test sofisticati permettono di identificare l'interessamento polmonare ad uno stadio precoce. Il cuore è invece colpito dalla malattia più raramente.
I polmoni:
Sintomi.
I pazienti con sclerosi del polmone possono presentare vari gradi di difficoltà del respiro, occasionalmente associata a tosse secca. Questo è dovuto al fatto che i polmoni diventano rigidi in seguito alla malattia, con conseguente riduzione della capacità di passaggio dell'ossigeno dal polmone al sangue. Un'altra causa è rappresentata da un processo simile al fenomeno di Raynaud delle mani e dei piedi che colpisce i vasi che irrorano i polmoni. Meno comunemente il rivestimento del polmone (la pleura) si infiamma, causando un dolore acuto al torace, che peggiora con gli atti del respiro o con i colpi di tosse.
Indagini: Il medico può richiedere numerosi esami che valutano il polmone:
In un centro specializzato possono essere effettuati altri esami, quali:
Trattamento:
Per l'interessamento polmonare sono disponibili numerosi trattamenti, alcuni dei quali sono usati solo per l'aspetto cutaneo della malattia, mentre altri sono specificamente usati per arrestare l'infiammazione polmonare. I più comuni farmaci usati sono:
Questi farmaci non sono efficaci in tutti i pazienti, per cui si stanno sviluppando continuamente nuovi farmaci, promettenti per il futuro. In conclusione il polmone è colpito spesso dalla Sclerodermia, anche se non sempre il paziente manifesta sintomi polmonari suggestivi. E' importante identificare precocemente la patologia polmonare in modo tale che venga iniziata rapidamente un'appropriata terapia, quando necessario.
Cuore:
Sintomi.
I pazienti con coinvolgimento cardiaco possono manifestare dolore toracico sotto sforzo (angina), affanno o gonfiore delle caviglie. Questi sintomi sono la conseguenza del deposito di tessuto sclerotico nei piccoli vasi sanguigni, che irrorano il tessuto cardiaco e nel muscolo cardiaco stesso. Per tale motivo il cuore diventa meno abile a funzionare come pompa e la pressione interna produce uno stravaso di liquidi nei polmoni e nelle aree declivi del corpo come ad esempio le caviglie. In rare occasioni un restringimento dei vasi ematici che conducono il sangue ai polmoni o nei polmoni stessi, possono costringere la parte destra del cuore a dover pompare con più forza il sangue attraverso i polmoni, provocando una condizione nota come ipertensione polmonare. Talora il cuore può battere irregolarmente, causando palpitazioni. Se il rivestimento del cuore, chiamato pericardio, diventa infiammato può comparire un dolore simile a quello causato da una pleurite.
Indagini.
Per valutare il cuore il medico può chiedere i seguenti test:
Trattamento.
Nella maggior parte dei pazienti l'interessamento cardiaco può essere veramente leggero o può non progredire, ma in una minoranza dei casi possono essere prescritti farmaci per vari aspetti della patologia. Questi includono: farmaci contro l'angina, come la trinitrina per via sublinguale o spray, i calcio antagonisti, come la nifedipina, i diuretici, gli ACE inibitori, come il captopril o l'enalapril ed altri. In conclusione i sintomi polmonari e cardiaci dovuti alla Sclerodermia possono essere simili a quelli di malattie di cuore e polmone, che affliggono la popolazione generale. Queste condizioni sono comuni nelle persone sopra i 50 anni e possono essere la causa dei sintomi polmonari e cardiaci in un paziente affetto da Sclerodermia piuttosto che le manifestazioni della Sclerodermia stessa. Soltanto con una valutazione accurata di un medico queste condizioni comuni possono essere distinte dalla malattia del cuore o del polmone polmone dovuta alla Sclerosi Sistemica, in modo da poter fornire i migliori consigli e le migliori cure.
Il rene nella Sclerodermia.
I reni possono essere colpiti dalla Sclerodermia, ma spesso il paziente è ignaro della sua situazione. Essi sono organi che lavorano duramente in quanto ricevono circa un quinto del sangue pompato dal cuore ogni minuto e lo puliscono dai rifiuti. Sebbene questa sia la loro funzione più conosciuta, i reni svolgono molti altri importanti compiti. Questi includono il controllo della produzione dei globuli rossi, della resistenza delle ossa, dell'acidità del sangue e, aiutano a controllare la pressione arteriosa.
Controllo della pressione arteriosa.
L'apporto di sangue ai reni è cruciale in questo compito. Se i reni non ricevono abbastanza sangue si scatena una serie di eventi che provoca l'aumento della pressione arteriosa per aumentare l'afflusso di sangue al rene. Una piccola parte di pazienti affetti da Sclerodermia soffre di una ipertensione arteriosa modesta, che è facilmente controllata con i farmaci e può avere una leggera perdita di proteine nelle urine. Tuttavia, molto raramente, alcuni pazienti con Sclerodermia, in genere quelli in cui l'indurimento della pelle peggiora rapidamente, sviluppano un'ipertensione arteriosa grave e difficile da curare, che è dovuta a cambiamenti dei vasi sanguigni nel rene (simili al fenomeno di Raynaud delle dita delle mani). In questi casi la pressione può continuare ad aumentare, malgrado le cure, danneggiando, infine, i reni e quindi il cuore e il polmoni, se non trattata correttamente. Questa situazione viene definita "crisi renale sclerodermica" e necessita di un'attenzione medica specialistica il più presto possibile.
Sintomi:
L'esordio della crisi renale può essere notato quando la pressione del sangue viene misurata al paziente dal medico. Se il medico trova nelle urine proteine, che in precedenza non erano presenti, deve sospettare che il rene non vada bene. L'ipertensione arteriosa grave può causare un forte mal di testa o disturbi della vista, talora possono conseguire affanno, nausea e vomito. Spesso la produzione delle urine rimane sufficiente fino a che il problema non è avanzato. Anche palpitazioni e crisi convulsive possono essere causate da una pressione molto, molto elevata.
Indagini:
Un paziente con "crisi renale sclerodermica" ha bisogno di un ricovero ospedaliero urgente. Per prima cosa deve essere confermata la diagnosi e deve essere valutata la severità. Gli esami da eseguire includono:
Trattamento:
Il fine della terapia è abbassare la pressione arteriosa, usando una combinazione di farmaci per bocca e per via endovenosa.
Talvolta, in particolari condizioni, può essere necessario ridurre la pressione arteriosa rapidamente, mentre, generalmente, tale obiettivo si ottiene in 10-14 giorni. I nuovi farmaci sono notevolmente efficaci nel ridurre la pressione arteriosa, ma possono provocare, come effetti collaterali, vampate di calore. Alcuni farmaci antidolorifici sono dannosi per i reni e, in questi casi, vanno sospesi. La funzione renale e la pressione arteriosa devono essere controllate quotidianamente e, se la funzione renale viene completamente persa, è necessario iniziare la dialisi (rene artificiale). La terapia migliore può essere somministrata se il paziente giunge in ospedale il prima possibile dopo l'inizio della crisi. Se i reni sono danneggiati solo leggermente, la dialisi può essere evitata e la loro funzione può ritornare normale. La dialisi diventa necessaria nel 25-50% dei pazienti che sviluppano la crisi renale sclerodermica. Fortunatamente in alcuni pazienti la funzione renale riprende dopo che la dialisi è stata necessaria per mesi o addirittura anni. Benché la crisi renale sclerodermica sia ancora una situazione grave che può persino causare la morte, i mezzi per curare questa situazione continuano a migliorare negli anni.
FIBROMIALGIA
La fibromialgia è un disturbo reumatico definito come reumatismo extra articolare. Il suo principale sintomo è il dolore che viene percepito in diverse sedi. Da diversi anni si sono classificati e standardizzati questi punti definendoli tender point. La presenza di almeno 11 di questi punti, sui 18 canonici porta alla diagnosi di fibromialgia. La diagnosi viene, infatti, fatta tramite l'esclusione di altre patologie mediche, la descrizione dei sintomi da parte del paziente e dall'individuazione dei tender point tramite pressione sui punti. Non esiste tutt'ora un esame di laboratorio in grado di fornire una diagnosi di fibromialgia.
Generalmente il paziente affetto da fibromialgia si sente spossato, ha difficoltà ad avere un sonno ristoratore e quindi difficoltà a concentrarsi durante il giorno, percepisce dolore in diverse parti del corpo (le più comuni sono il collo, le spalle, la schiena, le gambe, le braccia), ha problemi di colon irritabile con conseguente difficoltà di digestione ed evacuazione. Altri sintomi possono essere emicrania, dolori vulvari o cistiti ricorrenti, formicolii alle estremità.
LA SINDROME DI SJÖGREN
Definizione
La Sindrome di Sjögren è una malattia autoimmune sistemica coinvolgente le ghiandole esocrine, caratterizzata da un infiltrato linfoplasmocellulare che conduce alla perdita progressiva della funzionalità ghiandolare.
Classificazione
Epidemiologia
La prevalenza della Sindrome di Sjögren nella popolazione generale non è stata ancora precisamente valutata: si ritiene che la forma primitiva si presenti con una percentuale dello 0.3-1.5%. Nella popolazione geriatrica è stata stimata una prevalenza del 3% (1). La malattia si manifesta più frequentemente in donne di età compresa tra i 40 e 50 anni (rapporto femmine: maschi di 9:1).
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche all'esordio possono essere aspecifiche e comparire molti anni prima della diagnosi definitiva.
MANIFESTAZIONI INIZIALI DI SINDROME DI SJÖGREN PRIMARIA
TEST DI SCHIRMER: valuta il pool lacrimale, tramite una striscia di carta bibula messa a contatto con la ghiandola lacrimale inferiore. Il test risulta positivo se, dopo 5 minuti, la striscia è imbibita meno di 5 mm.
BREAK-UP TIME TEST (BUT): si esegue colorando il film corneale con fluoresceina e osservando la sua rottura con lampada a fessura. Valuta quindi l'alterazione del film lacrimale. Un tempo di rottura inferiore a 10 secondi è da considerarsi patologico.
ROSA BENGALA TEST: il colorante rileva cellule dell'epitelio congiuntivale e corneale danneggiate o con scarsa vitalità. All'osservazione alla lampada a fessura emerge un quadro di cheratite filamentosa o punctata.
Le complicanze oculari comprendono: la congiuntivite infettiva (stafilococcica), le ulcerazioni corneali, l'uveite posteriore.
Interessamento orofaringeo: una riduzione della secrezione salivare è responsabile della sensazione di secchezza orale, delle alterazione del gusto, dell'aumento di carie dentarie, che sono riferiti dai pazienti. Nel 60% dei casi si rileva obiettivamente una tumefazione delle parotidi, che all'esordio di malattia, può essere monolaterale e in seguito divenire bilaterale. Vanno escluse altre cause di xerostomia o tumor parotideo, quali: infezioni virali (HIV, HCV), sarcoidosi, neoplasie, endocrinopatie (diabete mellito, acromegalia, iperlipoproteinemie ...), terapia con antiipertensivi o parasimpaticolitici. Vanno eseguite:
SCIALOGRAFIA: si esegue introducendo un mezzo di contrasto idrosolubile nel dotto di Stenone. Si osservano tipicamente scilectasie, restringimenti del dotto di Stenone o dei dotti principali, oppure microcalcificazioni e marcata ritenzione del mezzo di contrasto dopo stimolo acido (succo di limone).
BIOPSIA DELLE GHIANDOLE SALIVARI MINORI: è altamente specifica per S. di Sjögren se il prelievo comprende 5-10 ghiandole, con il tessuto connettivo circostante; il tessuto presenta infiltrati linfocitari, con un focus score>1.
MANIFESTAZIONI EXTRAGHIANDOLARI NELLA SINDROME DI SJÖGREN %
Va eseguita:
RADIOGRAFIA OSTEOARTICOLARE: che non evidenzia alterazioni erosive.
Interessamento cutaneo: il fenomeno di Raynaud si presenta nel 35% dei pazienti, accompagnato da un aspetto edematoso delle mani, in assenza di teleangectasie e ulcere digitali. possono manifestarsi anche porpora ipergammaglobulinemica ed eritema anulare.Vanno eseguiti:
Criteri classificativi (da Vitali e coll., 1993)
Sintomi oculari: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domande:
II. Sintomi orali: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domande:
III. Segni oculari: evidenza di impegno oculare documentato dalla positività di almeno uno dei seguenti test:
IV. Istopatologia: un focus score >1 nelle ghiandole salivari minori:
V. Impegno delle ghiandole salivari: evidenza di impegno delle ghiandole salivari documentato dalla positività di almeno uno dei seguenti test:
1. anti-Ro (SSA) o La(SSB)
* questo test non deve essere tenuto in considerazione nei soggetti oltre i 60 anni, ove la riduzione può essere legata all'età.
REGOLE PER LA CORRETTA CLASSIFICAZIONE:
La presenza di 4 o più criteri in pazienti senza malattie potenzialmente associate alla S. di Sjögren è indicativo di SINDROME DI SJÖGREN PRIMARIA. Nei pazienti con malattie potenzialmente associate alla Sindrome di Sjögren la positività del punto I o II più quella di almeno 2 fra i punti III-VI è probante per una SINDROME DI SJÖGREN SECONDARIA.
CRITERI DI ESCLUSIONE
Linfoma persistente, AIDS, sarcoidosi, graft vs host disease, sialoadenosi, uso di antidepressivi, antipertensivi, neurolettici, parasimpaticolitici.
Diagnosi differenziale
Terapia Preventiva:
Sintomatica:
Sistemica:
LA POLIMIALGIA REUMATICA (PMR)
E' una sindrome relativamente frequente (1 caso ogni 1000 abitanti di età superiore a 50 anni) che colpisce soggetti con età superiore a 50 anni. Non è nota la causa. E' caratterizzata da dolore, rigidità e impaccio funzionale dei cingoli (collo, spalle, anche e cosce) e da un imponente stato infiammatorio generalizzato (incremento di VES e PCR agli esami di laboratorio). I soggetti colpiti (sono colpiti entrambi i sessi) presentano, in modo generalmente acuto, una grave compromissione delle condizioni generali con dolore importante diffuso, intensa stanchezza, notevole riduzione della forza muscolare con incapacità a svolgere le comuni attività quotidiane. In alcuni casi si osserva febbricola, inappetenza e calo del peso corporeo. Questi sintomi allarmano notevolmente il malato e i familiari (spesso anche i medici), anche in considerazione dell'età avanzata in cui la patologia si manifesta. Fortunatamente la Polimialgia Reumatica è molto sensibile all'impiego del cortisone a dosaggio non elevato e, generalmente, in poche settimane si può osservare una spettacolare ripresa delle condizioni generali con risoluzione del dolore e ripristino della forza. Affinché la terapia possa indurre una duratura remissione, va protratta per un lungo periodo di tempo (almeno un anno), pur procedendo cautamente alla riduzione della posologia nel corso dei mesi, basandosi sui sintomi e sugli esami di laboratorio (normalità di VES e PCR). In alcuni soggetti il cortisone non è in grado di indurre una remissione completa; in altri si può verificare una recidiva della Polimialgia durante la cura; in altri il cortisone non può essere impiegato a dosaggi utili per la presenza di malattie concomitanti come il diabete mellito scompensato, il glaucoma, grave osteoporosi, ecc. In questi casi può essere associato il farmaco Methotrexate che può, talvolta, permettere una più sollecita riduzione del cortisonico. In molti casi è necessario "aggiustare" la terapia anti-diabetica e trattare l'osteoporosi con bifosfonati + vitamina D e apporto di calcio.
Malattie reumatiche