"Uno studio recente pubblicato su Cell dall'Università di Osaka ha mostrato che proteine con strutture insolite provocano un'infiammazione nelle cellule immunitarie, contribuendo all'autoimmunità."
Le patologie autoimmuni sono ampiamente diffuse e presentano notevoli difficoltà nel trattamento. Questo fenomeno è parzialmente attribuibile all'incertezza riguardo le ragioni per cui il sistema immunitario aggredisce i tessuti del corpo stesso nei pazienti affetti da tali condizioni. Le malattie autoimmuni insorgono quando il sistema immunitario commette un errore, attaccando i propri tessuti anziché difendersi da agenti patogeni esterni, come batteri e virus. Nonostante si conoscano alcuni meccanismi, il motivo esatto per cui si attivano queste risposte autoimmuni rimane in parte misterioso, poiché il sistema immunitario è dotato di numerosi meccanismi di controllo per limitare le reazioni contro elementi “non self”.
Una delle teorie suggerisce che le cellule T siano in grado di differenziare tra frammenti proteici provenienti da tessuti self e non self, grazie al riconoscimento di questi frammenti attraverso il complesso maggiore di istocompatibilità II (MHC-II). Normalmente, queste cellule sono "educate" a non rispondere agli antigeni self. Tuttavia, quando un elemento fondamentale, noto come catena invariante (Ii), è assente dall'MHC-II, possono essere presentati alle cellule T antigeni self di dimensioni maggiori e mal conformati, definiti neoself-antigeni. Questo processo può contribuire all'insorgenza delle malattie autoimmuni.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Cell ha evidenziato come proteine con strutture anomale possano scatenare una reazione infiammatoria nelle cellule immunitarie, conducendo all'autoimmunità. I ricercatori dell'Università di Osaka si sono concentrati sui neoself-antigeni, che sono frequentemente associati alla presenza di autoanticorpi nei pazienti affetti da malattie autoimmuni. La loro indagine ha coinvolto l'analisi della reattività delle cellule T sia in pazienti con lupus che in topi adulti privati di Ii. In aggiunta, hanno esaminato l'impatto dell'infezione da virus di Epstein-Barr (EBV), noto per essere un fattore di rischio legato al lupus, sulla risposta delle cellule T ai neoself-antigeni.
I risultati hanno rivelato che circa il 10% delle cellule T amplificate clonalmente nei pazienti lupus mostrava reattività verso i neoself-antigeni. Inoltre, l'introduzione di neoself-antigeni ha provocato nei topi una condizione simil-lupus, dimostrando che il sistema immunitario aveva iniziato a reagire contro i propri tessuti, portando allo sviluppo di una malattia autoimmune.
Ulteriormente, è emerso che il riattivarsi dell'EBV, normalmente inattivo in gran parte della popolazione, può incrementare la presentazione di neoself-antigeni sui complessi principali di istocompatibilità di classe II (MHC-II), a seguito di una riduzione dell'espressione di Ii. Questo processo sembra attivare cellule T che attaccano il corpo stesso, contribuendo così all'insorgenza o all'aggravamento del lupus. Questo studio arricchisce notevolmente la conoscenza riguardo all'autotolleranza delle cellule T e alle origini delle malattie autoimmuni, identificando i neoself-antigeni come una categoria specifica di antigeni responsabili di risposte immunitarie inadeguate. Comprendere i meccanismi che portano il corpo a danneggiarsi da solo potrebbe rappresentare un passo fondamentale nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche per gestire patologie autoimmuni come il lupus.
Reumatologia dal web - Rielaborazione testo tratto da medicomunicare.it - di Dott. Gianfrancesco Cormaci - Settembre 2024