Aggravamenti delle condizioni di salute del lavoratore
Il datore di lavoro può procedere al licenziamento di un disabile per motivi legati all’organizzazione del lavoro per aggravamenti delle condizioni del soggetto solo a seguito di specifico giudizio della speciale commissione ex articolo 10, comma 3, della legge 68/1999 con cui venga accertata la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda. A tal fine, dunque, non è sufficiente il solo giudizio d’inidoneità alla mansione specifica espresso dal medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria ex Dlgs 81/2008, posto che la normativa sul collocamento obbligatorio dei disabili è norma speciale. Ad affermarlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso di un lavoratore disabile, licenziato a seguito di aggravamento delle sue condizioni di salute. Per la Corte, solo la commissione medica può stabilire se le condizioni di salute del lavoratore siano tali da determinare un’incompatibilità con la prosecuzione dell’attività lavorativa e se vi sia assoluta impossibilità di un suo reinserimento.
Impossibilità di ricollocazione del lavoratore infermo
Nel caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore e conseguente inidoneità alla mansione, gli elementi in fatto acquisiti nel corso del processo sono idonei a dimostrare la inesistenza attuale o la copertura con altro lavoratore di posizioni lavorative compatibili, dovendo escludersi la sussistenza di un obbligo del datore di lavoro o di licenziare altro lavoratore al fine di liberare la posizione lavorativa compatibile, ovvero quella di creare ex novo un posto di lavoro ritagliato sulle residue capacità lavorative del dipendente. Diversamente il discorso dovrebbe essere impostato ove si discutesse di un caso di avviamento obbligatorio ai sensi degli artt. 1 e 3 della L. 68/1999 nell’attuale sistema che peraltro privilegia l’individuazione prima dell’avviamento di mansioni compatibili con la condizione di disabilità.
Licenziamento del lavoratore non vedente: nullità
Il licenziamento intimato al lavoratore non vedente in assenza di alcun accertamento sanitario a norma dell’art. 5 statuto dei lavoratori e sulla base della contestazione che il datore di lavoro ha appreso in ritardo, rispetto all’accertamento, il riconoscimento dello status di invalido civile, da cui discenderebbero, alternativamente le conseguenze dell’occultamento di tale condizioni da parte del dipendente o la sua inidoneità alla mansione, è nullo e non illegittimo, posto che la condizione di cecità del lavoratore costituisce ragione esclusiva del recesso e non mero presupposto di fatto della non proficuità della prestazione lavorativa.
Inidoneità alla mansione espressa dal sanitario dell’Asl
Soggiace alla giurisdizione del giudice ordinario, e non di quello amministrativo, la controversia avente ad oggetto la correttezza del giudizio medico espresso dall’organo tecnico della ASL territorialmente competente in ordine alla idoneità alla mansione specifica di un lavoratore subordinato nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, il cui intervento è stato sollecitato dal lavoratore medesimo, che ha contestato il giudizio di inidoneità alla mansione espresso dal medico incaricato della sorveglianza sanitaria.
Accertamento temporanea inidoneità alla mansione
In caso di temporanea inidoneità alla mansione accertata dal medico competente, il corrispondente periodo di sospensione dal lavoro con diritto alla retribuzione non può essere unilateralmente computato dal datore di lavoro a malattia, in assenza di certificazione medica, e non può pertanto essere computato ai fini del periodo di comporto.
Onere della prova a carico del datore di lavoro
In tema di collocamento obbligatorio qualora l’invalido avviato obbligatoriamente al lavoro risulti inidoneo alle mansioni assegnate, il collegio medico di cui all’art. 20 l. n. 482 del 1968 può indicare mansioni alternative e compatibili con le condizioni di salute dell’invalido stesso ma in tal caso grava sul datore di lavoro l’onere di provare l’impossibilità di assegnare il lavoratore alla detta mansione; né questi è gravato dell’onere di dare indicazioni circa il suo possibile reimpiego, dal momento che è il datore di lavoro a dover sopportare il “peso” solidaristico dell’assunzione obbligatoria, mentre l’invalido, tra l’altro non ancora inserito nel lavoro, non può avere conoscenza dell’assetto organizzativo dell’impresa e delle mansioni disponibili.
Sopraggiunta infermità al lavoro: giustifica il licenziamento?
Pur essendo legittima la risoluzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità fisica del prestatore a norma dell’art. 1464 cod. civ.(ove il datore non abbia un apprezzabile interesse all’adempimento parziale), il recesso datoriale, concretandosi nell’esercizio del potere di licenziamento, deve essere esercitato nel rispetto dei principi sanciti dalla L. n. 604 del 1966, con particolare riferimento agli art. 1 e 3.
Ne consegue, quindi, che può ritenersi legittimo il recesso del datore di lavoro solo quando sia provata l’impossibilità di adibire il lavoratore, la cui prestazione sia divenuta parzialmente impossibile, a mansioni equivalenti e compatibili con le sue residue capacità lavorative, senza che ciò comporti una modifica dell’assetto aziendale. Il datore di lavoro potrà, pertanto, rifiutare legittimamente l’assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo all’attuale mansione, ad attività diverse e riconducibili alla stessa mansione, o ad altra mansione equivalente, o anche a mansioni inferiori, solo se fornisca la prova ex art. 5 L. 15 luglio 1966, n. 604 delle ragioni impedenti tali alternative.
Licenziamento per inidoneità allo svolgimento delle mansioni
In caso di lavoratore giudicato inidoneo allo svolgimento delle mansioni per le quali era stato assunto e riallocato in mansioni confacenti al suo stato, il rifiuto dello stesso alla nuova mansione, dando luogo al licenziamento, non gli dà alcun diritto alla corresponsione dell’una tantum spettante in caso di licenziamento per inidoneità allo svolgimento delle mansioni per le quali era stato assunto.
Sopraggiunta inidoneità del lavoratore e offerta di diverse mansioni
In tema di estinzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità del lavoratore, l’art. 40 del c.c.n.l. per le aziende municipalizzate di igiene urbana – per cui il lavoratore riconosciuto idoneo alle mansioni di assunzione o di successiva assegnazione ha diritto ad una somma una tantum in caso di infruttuoso esperimento della procedura di riallocazione – deve essere interpretato nel senso che l’indennità compete in tutti i casi nei quali non sia stato raggiunto l’accordo per lo svolgimento di mansioni alternative, non distinguendo il contratto collettivo tra il caso in cui l’azienda non abbia offerto al lavoratore una mansione diversa e il caso in cui il lavoratore l’abbia rifiutata.
Dispensa dal servizio del lavoratore per inidoneità fisica o psichica
In tema di esonero dal servizio, per inidoneità fisica o psichica, del pubblico impiegato, l’art. 22 ter del c.c.n.l. del 16 maggio 1995 comparto Ministeri, come integrato dall’art. 4 del c.c.n.l. del 22 ottobre 1997, si esprime in termini di assoluta doverosità riguardo ai comportamenti richiesti alla P.A., che deve esperire ogni utile tentativo per il recupero del dipendente al servizio attivo, se del caso con mansioni diverse e, in carenza di posti e previo consenso dell’interessato, anche inferiori, nonché in termini di mera possibilità in ordine alla provenienza della richiesta, di reinquadramento, dal dipendente, sicché, anche in assenza dell’iniziativa del lavoratore, non più idoneo alla mansione, il datore di lavoro pubblico non è esonerato dal percorrere tutte le strade alternative, previste nello stesso c.c.n.l., prima di adottare il provvedimento di dispensa.
Diritti del malato - Tratto da laleggepertutti.it - Aprile 2021