Accanto agli interventi sullo stile di vita, molte persone con diabete assumono farmaci per mantenere sotto controllo la loro glicemia. Anche se questi possono essere utili, alcuni hanno effetti collaterali negativi e altri diventano meno efficaci dopo essere stati assunti per lunghi periodi di tempo. E’ questo che spinge i clinici a far adottare l’insulinoterapia come forma finale di trattamento per i pazienti con diabete tipo 2. Molto spesso questo dipende anche dal peso corporeo degli interessati: una buona fetta di pazienti è decisamente sovrappeso o francamente obesa, il che conduce al fenomeno dell’insulino-resistenza. Questa condizione è determinata spesso dalla componente infiammatoria cronica della malattia, dietro cui sta l’eccesso di tessuto grasso e le citochine che esso produce. L’insulino-resistenza compare anche in altre patologie; fra queste vi è l’artrite reumatoide (AR). L’artrite reumatoide è una condizione autoimmune e degenerativa articolare, che causa gonfiore, dolore e rigidità delle articolazioni. Questa patologia cronica colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo.
È interessante notare che farmaci usati per trattare l’artrite reumatoide per molti anni potrebbero essere utili per le persone con diabete di tipo 2. Come è stato anche provato che la metformina, il farmaco antidiabetico più famoso, migliora l’insulino-resistenza e l’infiammazione in una buona percentuale di pazienti con AR. Questo potrebbe sembrare sorprendente in quanto le due condizioni sono mondi a parte, ma alcuni collegamenti e interazioni tra le due sono stati notati nel corso degli anni. Ad esempio, le persone con artrite reumatoide hanno maggiori probabilità di sviluppare il diabete; e viceversa, le persone con diabete hanno maggiore rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. Inoltre, le persone con AR che sviluppano il diabete di tipo 2 tendono ad avere più difficoltà a controllare i livelli di zucchero nel sangue. La leflunomide (Arava) è un farmaco antinfiammatorio, approvato per l’uso nell’artrite reumatoide nel 1998 che gestisce bene la condizione nella maggioranza dei pazienti.
Nel corso degli anni si notò sempre più spesso che la leflunomide abbassava la glicemia e, nelle persone obese, portava a farle dimagrire. Ma non è stato chiaro come o perché si sono verificate queste interazioni. Più di vent’anni fa si scoprì per caso che la leflunomide interferiva con alcuni enzimi della glicolisi cellulare, il flusso metabolico maggiore che sfrutta l’energia del glucosio. Studi condotti alcuni anni fa hanno provato che il farmaco possiede un altro bersaglio addizionale: la proteina chinasi S6K1, che ha la funzione di attivare al sintesi proteica cellulare, di spegnere la funzione del recettore dell’insulina ma anche di far captare alla cellula il glucosio attraverso i suoi trasportatori (GLUT4). Ecco spiegato il motivo dell’effetto ipoglicemizzante. Per questo motivo gli esperti pensano che questa molecola possa trovare spazio nella gestione del diabete mellito. Tuttavia, impiegarla nella forma tipo 2 potrebbe non essere la scelta migliore: la leflunomide è fondamentalmente un immunosoppressore, oltre che un antinfiammatorio.
Avrebbe molto più senso impiegarla nella forma tipo 1, dove esiste una componente autoimmunitaria similare a quella dell’artrite reumatoide. Al giorno d’oggi, i pazienti con diabete genetico non sono sottoposti a trattamento immunoregolatore o alcuna forma di terapia condizionante il sistema immunitario. Sono semplicemente etichettati come “pazienti diabetici definitivi”, per i quali l’unica opzione terapeutica è la somministrazione giornaliera di insulina. Già nel 1998 sono stati pubblicati esperimenti che provavano come la leflunomide potesse bloccare la comparsa di diabete autoimmune nei topi geneticamente predisposti. Studi successivi hanno dimostrato che il farmaco interferisce con l’infiltrazione delle cellule immunitarie (linfociti T) nelle isole pancreatiche, che poi le distruggono con una reazione infiammatoria (insulite). Ma come si collegano queste informazioni al contesto dell’artrite reumatoide? Tutto dipende radice biologica delle due condizioni: l’infiammazione cronica e la produzione di citochine mediate dalla natura autoimmune stessa.
Le prime prove che la metformina potesse tamponare l’infiammazione nell’artrite sperimentale risalgono al 2013 e poi confermate nel 2015 e nel 2018. Durante questi anni sono stati approfonditi i meccanismi con cui il farmaco potrebbe agire sulle basi della malattia. CI sono dati che dicono che il farmaco agisce come un antidiabetico: limita le risorse energetiche delle cellule immunitarie, il che le renderebbe “affaticate” nelle loro risposte. Altri dati indicano, in aggiunta, che le vie cellulari attivate dalla metformina possono contrastare le vie infiammatorie classiche dipendenti dalle citochine. Gli effetti della metformina su pazienti con AR e diabete sono stati riportati qualche anno fa e ci sono prove su studi di popolazione, che l’adozione di una terapia che includa la metformina, riduce il rischio futuro di sviluppare AR, specie nel sesso femminile. Proprio alcuni mesi fa sono stati pubblicati i risultati di un trial clinico pilota che ha testato gli effetti dell’aggiunta della metformina alla classica terapia (methotrexate) in pazienti affetti da AR.
I ricercatori hanno valutato i livelli sierici di citochine infiammatorie come TNF-α, IL-1β, IL-6, IL-10, IL-17 e TGF-β1 prima e dopo la terapia, che è durata nel complesso 12 settimane. I clinici hanno riscontrato miglioramenti statisticamente significativi nel DAS28-3 dopo 4 e 8 settimane per il gruppo METF rispetto al placebo e sono stati mantenuti dopo 12 settimane. Il gruppo METF ha mostrato un aumento statisticamente significativo della percentuale di pazienti che hanno raggiunto la remissione DAS dopo 12 settimane di cura. I risultati di questo studio sono stati riprodotti da un altro team di ricercatori, che ha pubblicato i suoi risultati lo scorso mese. La durata del trattamento è durata 6 mesi, ma i risultati hanno mimato quelli dello studio precedente. Già a tre mesi, la maggior parte dei pazienti aveva miglioramenti soggettivi notevoli con meno proteina C-reattiva ed adiponectina (biomarkers) nel sangue e un migliore DAS28 test score rispetto ai controlli che non assumevano metformina. I miglioramenti si sono evidenziati e mantenuti al timepoint finale di 6 mesi. La metformina, quindi, ha esercitato un effetto antinfiammatorio sulla malattia. Considerato che la dose giornaliera impiegata (1 grammo) non ha causato effetti collaterali degni di nota, gli esperti hanno concluso che la metformina può diventare un complemento terapeutico per l’artrite reumatoide, che potrebbe permettere la riduzione delle dosi di altri farmaci aggiunti: Questo si tradurrebbe in meno effetti collaterali in toto ed una migliore qualità di vita per i pazienti.
Artrite reumatoide - Tratto da medicomunicare.it - di Dr. Gianfrancesco Cormaci - Ottobre 2021